Scopazzi del melo. Una malattia “vecchia” ma poco conosciuta.

Con piacere condividiamo qui di seguito il contributo integrale redatto dal nostro socio Vigilio Pinamonti, già consigliere, rappresentante del personale, nel CdA di FEM, che con l’occasione sentitamente ringraziamo.

 

“Prendo spunto dalla recente nomina da parte della Giunta Provinciale, del nuovo Presidente della Fondazione FEM, Istituto Agrario di S. Michele. Il prof. Francesco Spagnolli conosce molto bene l’Istituto, dove ha trascorso buona parte della sua vita.

La malattia del melo, volgarmente “scopazzi” causata da un fitoplasma, è ancora in aumento, specie in Val di Non, dopo pochi anni di tregua e nonostante la “lotta obbligatoria” intrapresa. Fitopatologia seria, che porta a cali di produzione e forti spese per il rinnovo degli impianti.

Le conoscenze, rispetto alla malattia, sono quelle che già si sapevano quarant’anni fa. Niente di nuovo: insetti vettori (psille) che trasmettono la malattia di pianta in pianta, innesti e anastomosi radicale (radici di piante vicine che si possono “saldare” trasmettendo il fitoplasma da una pianta all’altra). Per evitare la diffusione della malattia gli stessi rimedi: l’estirpazione delle piante infette e contenimento dei vettori (psille) mediante interventi con trattamenti chimici da farsi un prima della ripresa vegetativa, fino poco dopo la fioritura.

Il danno dovuto agli scopazzi del melo è molto serio, con danni economici rilevanti per il frutticoltore che oltre alla perdita della produzione, deve sostenere ingenti costi per il rinnovo totale degli impianti o perlomeno per l’estirpo delle piante infette e la loro sostituzione. Perdite di produzione che si ripercuotano anche sui costi delle cooperative frutticole. L’unico vantaggio è per chi vende le necessarie nuove piante di melo. Non da poco, anche la spesa che bisogna sostenere per i trattamenti contro le psille, con fitofarmaci sempre più costosi e dall’efficacia sempre più incerta. Per la frutticoltura biologica, il problema è ancora maggiore, con una più alta percentuale di piante infette, che ne compromette la sostenibilità e la stessa sopravvivenza.

Il problema degli scopazzi è assai diffuso, ma pare particolarmente virulento e serio in Trentino. Si diceva che la ricerca è ferma da più di quarant’anni e solo i monitoraggi, con controlli in aumento specie negli ultimi anni, sono migliorati, dandoci una reale conoscenza della situazione. In tutti questi anni si sperava in una soluzione diversa, come per la fillossera della vite, dove più di 150 anni or sono, si era trovato il rimedio, risanando i vigneti. Lo scorso anno si è festeggiato la nascita dell’Istituto Agrario di San Michele, proprio 150 anni fa! Purtroppo invece per gli scopazzi, pare che la strada intrapresa per la fillossera non sia praticabile, i portinnesti apomittici non danno finora i risultati sperati e la ricerca procede assai lenta. Così, finora nulla è valso avere in Provincia una Ricerca all’avanguardia, fatta oltre che da FEM, anche da FBK e Università, con mezzi e risorse economiche non paragonabili ma infinitamente più performanti e ingenti rispetto a 150 anni fa. A quei tempi nulla si sapeva delle “scienze-omiche”: genomica, metabolomica, trascrittomica, che assieme alla biologia computazionale e analisi sensoriali, rappresentano una buona parte della ricerca svolta a S. Michele e altrove. Possibile che non si riesca a trovare anche per gli scopazzi qualche novità riguardo la cura e magari l’eradicazione di questa malattia? Possibile che attraverso la genomica non si riesca a conoscere un qualcosa in più sulla malattia? Con la metabolomica, trascrittomica e anche dei composti volatili, capire il metabolismo che cambia nelle piante malate, individuandone i componenti diversi e magari trovare un rimedio capace di ripristinare le originarie condizioni. Attraverso la biologia computazionale, capace di analizzare milioni e milioni di dati in tempo reale diminuire i tempi della ricerca… Anche quello provocato da Phytoplasma mali, è un fenomeno biologico complesso, che merita l’interesse di una “task force” composta dai settori all’avanguardia nella ricerca! Oltre che ricercare e studiare fenomeni “molto avanti” le cui ricadute nel pratico spesso si perdono, abbiamo bisogno di quelle forze e risorse anche per una Ricerca applicata, vicina alla realtà che ogni giorno l’agricoltore deve affrontare!

Con lo stimolo del nuovo Presidente, assieme anche alla politica e le organizzazioni degli agricoltori, forse qualcosa alla Ricerca si può chiedere! Continuare come per gli anni passati, e ne sono trascorsi tanti, le soluzioni sembrano lontane e resteranno le stesse che già si conoscono, ma insufficienti. Forse, studiando la malattia (le malattie) con ricerche anche aiutate dalle nuove tecnologie, coordinate tra loro e con la supervisione e l’aiuto di chi conosce bene la situazione e opera in campagna, qualche risultato in più si potrebbe ottenere.

Della ricca Ricerca in Trentino, almeno una parte, deve essere dedicata alle reali problematiche locali. Lo si deve in considerazione delle ingenti risorse che la Provincia destina a questo importante settore, in questo caso a FEM, ma vale anche per Università e FBK.