Affitto agrario: durata e recesso

a cura di Stefano Gasperi – ufficio successioni e contratti di CIA Trentino

 

La normativa disciplinante l’affitto di un fondo rustico è quasi interamente contenuta nella Legge n. 203 del 1982 la quale, nel Capo I del Titolo I (articoli 1-7), tratta, in particolare, della durata del contratto. Va preliminarmente evidenziato che tale Legge è permeata da uno spirito di tutela del coltivatore/affittuario del fondo il quale gode(o meglio dovremmo dire godeva visto l’odierno massiccio e pressochè obbligato ricorso ai patti in deroga)di una posizione privilegiata rispetto al proprietario/locatore, perché il Legislatore, in linea generale, ha inteso riconoscere maggiore tutela e stabilità alle posizioni fondate sul lavoro e sull’impresa piuttosto che a quelle fondate sul diritto di proprietà.Al solo affittuario,infatti, è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto di affitto agrario in qualsiasi momento, e solo in ipotesi di grave inadempimento, predeterminate e ben definite dalla legge, il proprietario potrà chiedere la risoluzione del contratto d’affitto, che lo stesso affittuario inadempiente potrà scongiurare, sanando tempestivamente la propria inadempienza.

 La durata minima legale

Il contratto di affitto di un fondo rustico, stipulato tra il proprietario del fondo e un coltivatore diretto senza assistenza sindacale, ha una durata minima predeterminata alla legge e pari a non meno di 15 anni . Alla scadenza, il contratto si rinnova in automatico di ulteriori quindici anni e così, parimenti, ad ogni successiva scadenza, di ulteriori periodi di quindici anni ciascuno, a meno che una delle parti non abbia comunicato all’altra la disdetta, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno,raccomandata a mano con firma per ricevuta o pec e con un preavviso di almeno un anno (la raccomandata con la comunicazione della disdetta deve cioè essere ricevuta dall’altra parte almeno un anno prima del termine di scadenza, originario o prorogato, del contratto.Nei contratti stipulati senza l’assistenza sindacale quindi, le parti di un contratto di affitto agrario restano legate per almeno 15 anni, e solo allo scadere del 14esimo anno, decorso inutilmente il termine per la disdetta, potranno avere la certezza che l’affitto si rinnoverà per un nuovo periodo di 15 anni.Questo vale anche nel caso di affitti “verbali” in caso di disaccordo delle parti sulla durata verbalmente pattuita. Se la parte proprietaria consente a un altro soggetto di condutrre il suo fondo e ne accetta un corrispettivo e la parte coltivatrice conduce il fondo e per questo paga un corrispettivo è evidente l’esistenza fra le parti di un contratto di affitto.

 La durata minima e massima effettiva (con i patti in deroga)

Fatto salvo il limite massimo di durata di un contratto, fissato in 30 anni, non esiste un limite per la durata minima tranne quella atta a consentire il compimento del ciclo biologico della coltura praticata sul fondo (ad es. per le nostrecolture arboree specializzate, melo e vite, almeno 1 annata).

 Il recesso dell’affittuario coltivatore diretto (art. 5 comma 1)

L’agricoltore può avvalersi del diritto di recesso.

Oltre alla facoltà di disdetta, che entrambe le parti del contratto possono esercitare, come abbiamo visto, entro la fine del quattordicesimo anno di vigenza del contratto medesimo, la legge, in applicazione di quello spirito di favore verso il lavoro e l’impresa di cui si è detto, riconosce all’affittuario coltivatore diretto un ulteriore diritto e cioè il diritto di uscire dal contratto (c.d. diritto di recesso) in ogni momento e senza necessità di addurre alcuna particolare motivazione, semplicemente dandone comunicazione al locatore, con la solita lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, con un preavviso di almeno un anno dalla scadenza dell’annata agraria. Se il preavviso non venisse rispettato, il recesso non avrebbe effetto nei termini voluti dall’affittuario, ma tutt’al più la comunicazione trasmessa via raccomandata potrebbe valere per l’anno ancora successivo. Il locatore, al contrario, non potrà mai, a suo piacimento, recedere dal contratto, e potrà solo impedirne il rinnovo alla scadenza, con la disdetta di cui al paragrafo che precede, oppure chiederne la risoluzione per grave inadempimento dell’affittuario, come previsto dalla legge nello stesso art. 5, comma 2.

 La risoluzione del contratto di affitto (art. 5 comma 2)

In particolare, il locatore, proprietario del fondo affittato, potrà chiedere la risoluzione del contratto di affitto agrario, ma solo nei casi di grave inadempimento contrattuale dell’affittuario/coltivatore diretto del fondo, peraltro tipizzati nella medesima norma: anche in questa previsione trapela il favore del legislatore per il coltivatore del fondo, il cui inadempimento, per giustificare la risoluzione del contratto agrario, dovrà essere “grave”, a differenza di quanto previsto nella disciplina generale in materia di risoluzione dei contratti, ove è sufficiente che l’inadempimento sia di non scarsa importanza (art. 1455 Codice Civile).

I casi di grave inadempimento dell’affittuario che giustificano la risoluzione del contratto da parte del locatore, sono:

  • il mancato pagamento di almeno un anno di canone;
  • la cattiva conduzione del fondo(violazione degli obblighi di normale e razionale coltivazione del fondo, e di conservazione e manutenzione di esso edelle attrezzature ad esso relative);
  • nel subaffitto o subconcessione del fondo.

La prima e la terza ipotesi non destano problemi interpretativi: il mancato pagamento di un anno di canoni è considerato “grave inadempimento” dalla legge stessa, e così pure la sublocazione o la subconcessione del fondo a un terzo da parte dell’affittuario. Quanto invece alla cattiva conduzione del fondo, la gravità o meno della condotta dell’affittuario non è predeterminata dalla legge, ma deve essere verificata caso per caso, desumendola dalla giurisprudenza e dagli orientamenti dei Tribunali formatisi su casi simili.

 L’obbligo di contestazione del locatore (art. 5 comma 3)

Nel caso in cui l’affittuario si renda gravemente inadempiente, il locatore, prima di adire l’autorità giudiziaria e prima di esperire l’obbligatorio tentativo di conciliazione innanzi all’Ispettorato agrario deve obbligatoriamente contestare all’affittuario l’inadempimento, inviandogli una raccomandata con ricevuta di ritorno contenente la descrizione circostanziata e specifica della condotta incriminata. In assenza di contestazione l’azione sarà dichiarata improponibile. La contestazione preventiva ha la funzione di consentire all’affittuario di sanare il proprio inadempimento, evitando, se lo fa entro tre mesi dal ricevimento della raccomandata, la risoluzione del contratto.

 

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