L’impatto dell’emergenza Covid-19 sull’economia trentina

Intervista a Giovanni Bort, presidente della CCIAA di Trento

Pubblichiamo la versione integrale dell’intervista uscita su Agricoltura Trentina 05/2020 a cura di Michele Zacchi

Presidente, ormai si comincia a parlare del dopo epidemia e partendo dal suo orizzonte locale le chiedo quali criticità ha fatto emergere questa vicenda nella macchina sanitaria e sociale e quali interventi ritiene opportuni per rendere efficace una positiva ripartenza delle attività in Trentino, anche per colmare il divario che c’è con Bolzano.

Nella foto: Giovanni BORT
Archivio CCIAA TN © Foto Roberto Bernardinatti

L’emergenza sanitaria ci ha colto tutti impreparati. Credo sia encomiabile l’enorme sforzo che, fin dal primo giorno di allarme, il sistema sanitario sta sopportando senza sosta. Stiamo ancora lottando e non è sicuramente questo il momento per parlare di criticità, ma piuttosto di convogliare tutto il nostro impegno per sostenere chi sta lavorando in corsia e opera in prima linea, spesso rischiando la propria salute, per salvare la vita della gente. Verrà anche il momento di fare un bilancio, isolare le criticità e stigmatizzare gli errori eventualmente commessi, ma oggi è importante avere un atteggiamento costruttivo: ognuno faccia la propria parte, a cominciare dallo stare in casa.
Mi lasci però dire, in qualità di Presidente della Camera di Commercio, quanto io sia preoccupato per la fase critica che stanno attraversando le attività economiche della provincia di Trento. Da una recente indagine, curata dal nostro Ufficio studi e ricerche e realizzata tra il 12 e il 18 marzo scorsi in stretto coordinamento con lSPAT (Istituto di statistica della Provincia di Trento) risulta che, complessivamente, l’85,7% degli imprenditori, coinvolti nella rilevazione, ritiene di aver subito un impatto negativo consistente. Si tratta di un valore molto alto che testimonia la sostanziale trasversalità degli effetti sfavorevoli, pur con intensità diverse, rispetto a tutti i settori economici.
Considerando i singoli settori, l’effetto peggiore è riscontrabile nel comparto “bar e ristorazione” e in quello dei “servizi alla persona e attività sportive ricreative e di intrattenimento”, dove il 97% delle imprese soffre le nette conseguenze imposte dalla chiusura provvisoria dell’attività. Le imprese del commercio al minuto e delle costruzioni, con percentuali rispettivamente dell’81 e dell’82%, risultano essere meno influenzate rispetto al dato medio, ma accusano comunque un impatto considerevole.
Considerando i problemi connessi agli aspetti finanziari e di liquidità, le imprese segnalano due ostacoli salienti: il primo legato al rispetto delle scadenze fiscali (24,4%) e il secondo relativo al pagamento dei fornitori (23,7%). Rilevante risulta anche la difficoltà connessa con l’incasso dei crediti (19,4%) a cui fanno seguito quelle legate al pagamento del personale e all’aumento dei debiti finanziari a breve termine (rispettivamente 15,7% e 15,0%).
Il rispetto delle scadenze fiscali è una delle preoccupazioni prevalenti per tutte le aziende, indipendentemente dalla loro dimensione. Tra le imprese più piccole (1-10 addetti) poi, emerge soprattutto il problema di pagare i fornitori, mentre tra le più grandi (oltre 50 addetti) si rileva la difficoltà a incassare i crediti.
Le misure restrittive poste in campo dal Governo nazionale per contenere la diffusione dell’infezione stanno evidentemente pesando sull’operatività delle singole aziende e la rilevazione dell’Ufficio studi riflette senza dubbio la gravità della situazione. La prospettiva è netta e, in un’ipotesi di superamento dell’emergenza in tempi relativamente contenuti, una parte delle imprese potrebbe riprendere la normale attività, accusando però il contraccolpo, se invece l’emergenza dovesse protrarsi nel tempo e in assenza di adeguati interventi in chiave anticiclica, il danno per le imprese sarebbe molto più intenso.
Quello che abbiamo davanti è comunque un quadro in rapida evoluzione, credo che le prossime settimane saranno cruciali per capire quando potrà cominciare la cosiddetta “fase 2” che dovrebbe condurci fuori dall’emergenza più severa. Confidiamo che il governo italiano e l’Europa riescano a proporre strumenti plausibili e mettere gli imprenditori in condizione di lavorare seriamente per rilanciare gradualmente, ma stabilmente, l’economia. L’importante è non confondere le misure di emergenza, sicuramente utili ma per definizione estemporanee, con quelle strutturali, le sole che possano servire a uscire dalla fase critica e dare stabilità all’economia del Paese. Mi riferisco a una politica capace di alleggerire il sistema delle imprese dal peso della burocrazia inutile – ce lo ha insegnato questa emergenza – e di investire in opere pubbliche.
Rispetto al confronto con l’Alto Adige, come ho già avuto modo di spiegare da queste pagine, non c’è un divario unilaterale. Ci sono voci economico-statistiche che, alternativamente, misurano performance più o meno brillanti, ma non ha senso innescare una “gara di numeri”. Confermo, tuttavia, l’utilità di confrontarsi sotto molti aspetti con quanto avviene nei territori più prossimi al nostro. È però altrettanto saggio prendere spunto dalle cosiddette “buone pratiche” solo se risultano adeguate al proprio contesto e se è possibile declinarle secondo le proprie inclinazioni. Credo convenga a tutti concentrarsi sulle specificità, facendo tesoro della storia e mettendo a frutto i rispettivi talenti per dare voce all’unicità delle singole vocazioni. Il Trentino è una terra straordinaria e per tracciare la propria strada non ha bisogno di colmare nessun divario.

Attraverso Unioncamere, l’ente pubblico che unisce e rappresenta istituzionalmente il sistema camerale italiano, lei ha la possibilità di guardare a tutto il Paese. Come risponderebbe alle stesse domande in un’ottica nazionale?
Da entrambi i punti di vista, sanitario ed economico, il mio pensiero rimane invariato ed è di plauso nel primo caso e di forte preoccupazione nel secondo. Risulta solo amplificato nei numeri.
In ambito economico, i dati diffusi proprio in questi giorni da Unioncamere ci dicono che, a causa dell’emergenza sanitaria, nel 2020 è prevista una forte riduzione degli occupati. Al netto dei lavoratori che beneficeranno della cassa integrazione, si stima un calo dello stock di occupati dei settori privati dell’industria e dei servizi, in media annuale, di 422mila unità, rispetto al 2019 (-2,1%). Nel dettaglio, si prevede per gli indipendenti una riduzione di 190mila unità (-3,4%) e per i dipendenti privati di 232mila occupati (-1,6%). Scendendo più nei dettagli e considerando i principali comparti produttivi, il turismo risulta essere il settore più colpito (-220mila occupati) e, considerata la vocazione turistica del nostro territorio, questa stima preoccupa profondamente.
Nel loro insieme, i valori rilevati, che si basano sulle informazioni a disposizione del sistema delle Camere di commercio italiane, tracciano dunque uno scenario di crisi senza precedenti, che per risolversi avrà bisogno di uno sforzo di pari intensità.