Io speriamo che me la cavo

La situazione attuale, con continue notizie sul caro prezzi, è ormai ben nota, ma non c’è forse la completa consapevolezza da parte di tutti della gravità del momento e delle sue difficoltà.
Non sempre viene chiarito come si è arrivati a questo punto, in cui, in mancanza di interventi immediati, non ci è dato pensare ad un futuro sereno e spensierato.
Non vogliamo di certo salire in cattedra, ma ci preme contestualizzare almeno in parte ciò che sta accadendo nel nostro settore.
Partiamo ad esempio dal latte: erano anni che non si vedeva il latte così “ben pagato”, eppure i conti degli allevatori sono in rosso e le stalle stanno chiudendo. Agli occhi del consumatore che trova sugli scaffali il latte a prezzo raddoppiato, può certamente sembrare un controsenso e creare confusione.
Questa situazione è in parte dovuta alla riduzione delle mandrie, causata vuoi dall’aumento del costo delle materie prime, vuoi dalla necessità di molte stalle di ridurre il numero di capi per rientrare nei nuovi parametri previsti dall’applicazione in Europa delle recenti disposizioni ambientali.
Tutto ciò ha provocato un calo di disponibilità di latte che confluiva nella Comunità Europea; ad esempio la Germania è passata da essere esportatrice ad dover importare per fare fronte al proprio fabbisogno. Il notevole aumento della domanda di latte alimentare ha fatto perciò alzare i prezzi.
Non tutte le stalle però producono questo tipo di latte. Molte, soprattutto quelle montane, si sono specializzate in produzione di latte da caseificazione. Il nostro contesto locale, con protocolli di produzione obbligatori ben precisi, ha permesso la produzione di eccellenze come Trentingrana, Puzzone, Vezzena e altri prodotti tipici, richiedendo però al produttore di assumere un’alimentazione del bestiame più onerosa e di avere rese inferiori di latte a favore della qualità.
Mentre il latte alimentare ha un mercato molto attivo, quello caseario è in piena crisi, non solo nelle stalle, ma anche nei caseifici. Chi fa latte da caseificazione ne produce ora sempre meno perché ha sempre meno risorse, essendosi incrementati notevolmente i costi fissi che hanno reso il prodotto ancora meno redditizio, in una spirale che sembra inarrestabile.
Aumenta la tensione negli allevamenti, che dopo aver attuato tutte le misure necessarie, non possono fare altro che ridurre i capi, finché ce la fanno. L’alternativa di convertire una stalla da latte per la caseificazione ad alimentare infatti è tutt’altro che semplice e veloce.
Oltre all’eventualità di perdere molte aziende, rischiamo di innescare una catena per cui, tra qualche tempo, non saranno più disponibili quei formaggi che ora diamo per scontati, e, cosa forse più grave, potremmo perdere per strada persino qualche caseificio, smarrendo punti vitali di presidio del territorio.
Il pericolo è che nelle aree più delicate, come quelle montane, le aziende (e non ci riferiamo solo quelle agricole) si diradino fino alla loro scomparsa.
Quanto sta accadendo nel latte rischia di estendersi, purtroppo, anche in altri settori con risultati simili. Potrebbe essere che la revisione del P.a.n. (Piano di azione nazionale) avvii un percorso simile? Il New Green Deal, che regola l’uso dei fitofarmaci in agricoltura e che punta ad una seria riduzione di principi e formulati senza dare alternative migliori, è però chiaro: la direzione comunitaria è quella e per ora non c’è nessun tentennamento.
Forse bisognerebbe tenere ben presente la situazione attuale perché rischiamo, soprattutto in agricoltura, che la cura (che avevamo avviato in altri tempi) sia peggio del male.
Servono azioni concrete immediate e pragmatiche che aiutino gli imprenditori e le famiglie a superare questo momento. Per questo CIA è attiva sia localmente, che a livello nazionale e a Bruxelles, per dare il nostro contribuito e supporto affinché si trovi una soluzione.
Non abbiamo più molto tempo, bisogna agire subito e nel frattempo “io speriamo che me la cavo”.